Il sostegno alle scuole pubbliche non statali in Europa
Nell’articolo si parla di scuole confessionali, che pero’ non sono le uniche espressioni di scuole paritarie pur essendo la maggioranza.
La presenza delle scuole di tendenza a carattere confessionale in pressoché tutti i Paesi europei prescinde dall’assetto nazionale dei rapporti tra singoli Stati e religioni: infatti, esse esistono sia nei Paesi con una Chiesa di stato e/o una religione ufficiale, come in Danimarca, così come nei Paesi che intrattengono rapporti di natura bilaterale con le confessioni religiose, come per esempio quelli concordatari, e sono presenti finanche nella Francia laica e separatista (che peraltro ospita una delle reti di scuole private cattoliche tra le più estese in Europa), così come nell’Irlanda separatista.
Ciò che a livello nazionale può variare, dunque, non è tanto l’esistenza e/o la più o meno ampia diffusione del fenomeno, quanto la disciplina sulla natura giuridica (pubblica o privata) di tali istituzioni, il regime di finanziamento delle stesse e la partecipazione statale ad esso, le regole concernenti i criteri di ammissione o gli standard educativi e formativi che tali istituzioni devono rispettare.
Ciascuno di tali aspetti costituisce spesso una variante normativa e ordinamentale propria degli Stati e contribuisce a delineare il sistema giuridico – spesso complesso – che disciplina lo statuto delle scuole confessionali in ciascun Paese europeo.
Come spesso avviene nelle materie “ad alta tensione di costituzionalità”, che riguardano cioè i diritti fondamentali degli individui e delle comunità, il contesto storico-politico nel quale sono maturate le scelte nazionali dà ragione dell’atteggiamento dei Paesi europei rispetto alla questione della gestione del sistema educativo.
La radice dei modelli attualmente vigenti è sicuramente rintracciabile nella contrapposizione tra il pensiero proprio del liberalismo nord europeo, tendenzialmente favorevole al pluralismo educativo e al principio della libera concorrenza anche “nel mercato dell’istruzione”, e il modello statalista, tipico dei Paesi latini, diffidenti nei confronti dell’istruzione “privata”, impartita prevalentemente dalle istituzioni religiose, soprattutto cattoliche, le quali pure per svariati secoli hanno mantenuto il monopolio nel settore e determinato lo sviluppo e la diffusione della cultura europea.
Se tali retaggi storici sono in grado di spiegare ancora oggi più o meno nettamente i diversificati approcci degli Stati in materia di equilibri tra istruzione pubblica e istruzione privata, un ruolo di “omogeneizzazione” di tali approcci è stato svolto tuttavia dalle carte internazionali dei diritti dell’uomo del secondo dopoguerra, così come dal processo di integrazione europea e dalle fonti giuridiche che lo hanno caratterizzato.
Atti quali la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo (art. 26), il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (art. 13), la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (art. 2 prot. Addiz.), la Carta di Nizza dell’Unione europea (art. 14) hanno infatti delineato un fascio di libertà connesse al fondamentale diritto all’istruzione, identificabili innanzitutto con il diritto dei genitori a educare i propri figli conformemente alle proprie convinzioni etiche e religiose, con il conseguente divieto di qualsiasi forma di indottrinamento da parte degli Stati (libertà di istruzione), e poi con il diritto di soggetti diversi dalle autorità pubbliche di istituire scuole (libertà delle scuole).
Queste irrinunciabili libertà, che possono essere interpretate come tradizioni costituzionali comuni agli Stati europei, orientano sia le legislazioni unilaterali nazionali sia i diversi Concordati con la Chiesa cattolica, determinando una convergenza “nella ricostruzione di una positiva e ricca dialettica tra pubblico e privato che costituisce un punto fermo del diritto europeo e che trova a livello nazionale (soprattutto nei Paesi del Centro ed Est Europa) una spinta notevolissima, in qualche caso sorprendente” (Cardia, 2010), tanto che gli assetti ordinamentali nazionali, che mantengono le competenze rispetto alla disciplina dell’istruzione scolastica, rispetto alle scuole confessionali, sembrano in larga parte non dipendere dalle dinamiche tipiche dei singoli modelli di rapporti tra Stati europei e confessioni religiose.
1. I modelli europei: alcuni esempi nazionali
Uno dei punti di osservazione privilegiati per delineare alcune caratteristiche delle discipline nazionali sulle scuole di tendenza confessionale è sicuramente la fonte concordataria, la quale, ove esistente, contiene sempre tipicamente disposizioni sulla tutela della libertà di istituire e gestire scuole private, dotate di un progetto educativo nel suo insieme confessionalmente caratterizzato. Per alcune linee di tendenza, si possono individuare come aree di indagine quella dei Paesi ex comunisti dell’est Europa e quella dei Paesi dell’Europa occidentale e del nord.
In entrambe le situazioni e in maniera differente il dato storico è essenziale. Nei paesi ex comunisti l’esigenza imprescindibile di ricostruire un tessuto civile solidaristico nei terreni più elementari e importanti della vita collettiva, come quello dell’istruzione, spinge le nuove democrazie verso un “bisogno quasi spasmodico di reintrodurre l’interazione tra pubblico e privato laddove esisteva solo la logica collettivistica”. Questo bisogno ha un riflesso immediato, e per certi versi inaspettato, nell’ampiezza con la quale i Paesi dell’Est accordano spazio, legittimazione, finanziamenti alle strutture, appunto, assistenziali, educative, di istruzione, delle varie confessioni.
Nei Concordati con i Paesi dell’ex blocco sovietico, post caduta del muro di Berlino, infatti, si riscontra un sostegno pubblico e generalizzato alle scuole private anche di origine confessionale.
Nell’Accordo tra Santa sede e Albania del 2002, ad esempio, sia pur in maniera piuttosto sintetica e minimale, è riconosciuta la personalità giuridica pubblica “delle istituzioni della Chiesa cattolica che godono del medesimo status secondo il diritto canonico”, ivi incluse “le scuole e le istituzioni educative a tutti i livelli, e le istituzioni sanitarie” (art. 2), ed è garantito il diritto della Chiesa di “istituire e gestire scuole, cliniche e centri sociali propri” (art. 7).
Più articolata e impegnativa sul fronte dei rapporti tra autorità pubblica e scuole confessionali, è la posizione che emerge nei Concordati stipulati con i Paesi dell’est con una più significativa maggioranza cattolica.
Emblematico il contenuto del Concordato con la Slovacchia del 2000 che, oltre a prevedere il “diritto di costituire, gestire e utilizzare per l’educazione e l’istruzione, scuole elementari, scuole medie, università e altre istituzioni scolastiche, secondo le condizioni stabilite dall’ordinamento giuridico della Repubblica Slovacca”, sancisce l’uguale condizione di queste scuole rispetto a quelle statali, considerandole parte inseparabile ed equivalente del sistema educativo e formativo della Repubblica Slovacca (art. 13). L’innovatività dell’accordo slovacco sta nella volontà di instaurare non semplicemente forme di dialogo tra istituzioni statali e cattoliche sui temi educativi e dell’istruzione, ma vere e proprie collaborazioni di carattere progettuale, nelle quali la Repubblica interverrà con strumenti di sostegno finanziario: “Le Alte Parti collaboreranno alla realizzazione dei progetti comuni nei settori della cura sanitaria, della formazione e dell’educazione, e in quella dell’assistenza degli anziani e dei malati. Questi progetti riguarderanno scuole, istituzioni educative e sanitarie, istituzioni di servizi sociali, di terapia e di reinserimento dei tossicodipendenti. La Santa Sede garantisce che la Chiesa Cattolica promuoverà questi progetti soprattutto con il personale; la Repubblica Slovacca vi provvederà, in misura proporzionale, soprattutto materialmente e finanziariamente” (art. 16). Quanto alle modalità gestionali, agli spazi di autonomia confessionale nonché agli strumenti di finanziamento da parte del bilancio statale, l’accordo base rinvia a una Intesa più specifica firmata nel 2004 sull’educazione e l’istruzione cattolica, la quale per esempio prevede che “alle scuole cattoliche viene concessa la copertura finanziaria nella stessa misura in cui viene concessa a tutte le altre scuole, in conformità con l’ordinamento giuridico della Repubblica Slovacca”.
Il finanziamento con fondi di bilancio statali è previsto anche nell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica della Lituania sulla cooperazione nell’istruzione e nella cultura del 2000, così come nel Concordato polacco del 1993.
Tali soluzioni evidenziano chiaramente l’adesione di tali Paesi a un certo modello di integrazione europea che ha nella dialettica tra pubblico e privato una costante ordinamentale che supera ogni confine e tradizione, e che infatti si allarga al riconoscimento delle strutture scolastiche private anche differenti da quelle cattoliche, come avviene anche in Bulgaria, che tuttavia non contempla alcun finanziamento pubblico per le scuole private religiose, Repubblica ceca e Romania.
Se volgiamo lo sguardo ai Paesi dell’Europa occidentale e del nord, si riscontrano differenziazioni soprattutto sullo statuto giuridico pubblico o privato delle scuole confessionali e anche sulle scelte di finanziamento e sovvenzioni pubbliche.
In Austria e Germania, per esempio, le scuole confessionali hanno statuto di diritto pubblico, anche se i due Paesi individuano differenti criteri per la selezione dei destinatari delle sovvenzioni pubbliche e per l’entità degli aiuti finanziari pubblici a esse: in Austria, per esempio, la Convenzione con la Santa Sede al fine di regolare questioni attinenti l’ordinamento scolastico prevede che “lo Stato concederà alla Chiesa Cattolica regolari sovvenzioni per gli stipendi del personale delle scuole cattoliche che godono di diritto pubblico” (art. 2 par. 2).
Nell’ordinamento ungherese, invece, le scuole della Chiesa sono qualificabili come una categoria di tertium genus, né pubblica né privata.
Se in linea di massima i Paesi concordatari di tradizione protestante hanno implementato piuttosto agevolmente i principi del pluralismo scolastico, anche sul fronte confessionale, dimostrando ampie aperture anche rispetto al sostegno pubblico ad esse, gli Stati concordatari a maggioranza cattolica, come la Spagna, il Portogallo e la stessa Italia conservano nella normativa, pur aperta e favorevole al pluralismo scolastico di stampo religioso, qualche rigidità, dovute alla diffidenze storicamente affermatisi nell’epoca ottocentesca.
In Spagna, per esempio, nell’Accordo circa l’insegnamento e le questioni culturali del 1979 è sancito il principio di parità tra scuole private confessionali e non confessionali, ma non il pari trattamento tra scuole pubbliche e private sotto il profilo delle sovvenzioni e degli interventi di sostegno pubblico. Più sintetico ancora il Concordato portoghese del 2004 che, nel riconoscimento della libertà della Chiesa cattolica di istituire seminari e altri istituti di formazione, non fa cenno alla questione del finanziamento, così come il Concordato italiano del 1984 che all’art. 9, nell’ambito del principio costituzionale della libertà della scuola, si limita ad assicurare alle scuole istituite dalla Chiesa cattolica, che ottengono la parità, “piena libertà” “e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l’esame di Stato”. Solo nel 2000 è stato previsto in Italia un sistema integrato di istruzione pubblica e privata, che contempla tuttavia ancora delle restrizioni sul fronte del finanziamento statale e regionale.
Sorprendentemente, molto più favorevole è la regolamentazione dell’istruzione privata in un Paese tradizionalmente laico e separatista come la Francia, nel quale le scuole confessionali, pur dovendo rispettare nella struttura e nella programmazione i principi dell’ordinamento scolastico, sono abilitate a rilasciare titoli di studio di ogni ordine e grado riconosciuti dallo Stato e godono di un finanziamento pubblico cospicuo per i docenti che vi insegnano. L’assetto ordinamentale francese dimostra il superamento degli approcci anticlericali al tema dell’istruzione, anche se va considerato che tale favore per le scuole private, che per la maggioranza sono di ispirazione cattolica, è bilanciato dall’assenza di qualsiasi insegnamento a carattere religioso nelle scuole statali.
2. Le nuove sfide della presenza ecclesiale nel sistema educativo europeo
I dati di carattere storico-politico che hanno influenzato l’atteggiamento degli ordinamenti europei rispetto al fenomeno delle scuole di ispirazione confessionale hanno soprattutto negli interventi normativi più recenti lasciato il passo a una più consapevole integrazione dei principi del pluralismo scolastico ed educativo, determinando in larga parte una omogeneizzazione delle legislazioni nazionali attorno al valore e alla necessità della coesistenza tra pubblico e privato anche nel sistema educativo e formativo.
Le sfide che la contemporaneità propone in ambito educativo sono molteplici sia sotto il profilo contenutistico sia metodologico. Alcuni di questi nuovi scenari interpellano forse in maniera più incisiva proprio le scuole di ispirazione confessionale: basti pensare ai temi del multiculturalismo, all’integrazione tra la missione educativa della Chiesa e la pastorale della famiglia, dei giovani ecc.
Quanto al metodo, la rete dell’istruzione privata, che offre un imprescindibile e insostituibile apporto educativo e formativo nell’Europa contemporanea, non potrà non caratterizzarsi per una progettualità diretta a instaurare proficue e significative forme di collaborazione con le istituzioni culturali della società civile, sul fronte della formazione, così come degli standard di trasparenza e di rendicontazione gestionale.
Solo nell’accoglimento costruttivo delle repentine evoluzioni che il sistema di istruzione europeo propone, il già elevato standard reputazionale delle scuole di tendenza confessionale può confermarle quali agenti significativi e imprescindibili di educazione e formazione, così da rispondere all’irrinunciabile principio del pluralismo educativo quale specchio della realtà sempre più pluralista che stiamo vivendo.
* di Anna Gianfreda
docente di Diritto ecclesiastico e canonico, facoltà di Economia e Giurisprudenza, campus di Piacenza dell’Università Cattolica
(FONTE: www.amicidilazzaro.it)