Carovana delle Alpi in Valle Camonica: la ‘bandiera verde’ al BioDistretto

Si è tenuta alla casa museo di Cerveno, ospite della giornata di incontri “COLTIVARE PAESAGGI RESILIENTI”, l’iniziativa di Legambiente che chiude per la Lombardia l’edizione 2020 della ‘Carovana delle Alpi’, campagna con cui l’associazione del cigno verde risale ogni anno le valli dell’arco alpino italiano per supportare e testimoniare gli esempi e le buone pratiche di attivazione delle comunità e delle istituzioni per il rilancio del territorio e la protezione degli ecosistemi montani.

Legambiente ha portato la Bandiera Verde alla rete di agricoltori nata dal basso su iniziativa di ValcamonicaBio e del Bio-distretto di Valle Camonica con l’appoggio istituzionale di Parco dell’Adamello e comune di Cerveno: un riconoscimento importante, che certifica l’impegno e i primi risultati del lavoro fatto ”con un progetto che si adopera per far crescere la percezione della comunità rispetto al rischio di perdere un paesaggio di grande valore culturale e identitario. La promozione del consumo di prossimità è una delle grandi scommesse fatte dal Bio-distretto che ci auguriamo diventi uno dei temi prioritari sui quali sviluppare nuove azioni” dice Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia.

La Bandiera Verde, il riconoscimento che Legambiente ogni anno attribuisce a chi mette in campo buone pratiche nell’ambito alpino, è stata attribuita al Bio-distretto di Vallecamonica con la seguente motivazione: “per i risultati conseguiti con il progetto “Coltivare Paesaggi Resilienti” nel creare una rete di piccoli produttori dalla forte connotazione comunitaria e recuperare terreni abbandonati di montagna con un’agricoltura che valorizza la fertilità naturale del suolo. L’iniziativa ha posto anche le basi per lo sviluppo di una filiera di prodotti dalle alte qualità nutrizionali e per promuovere il consumo di prossimità”.

Obiettivo del progetto è la sostenibilità intesa come l’effetto di una concatenazione di scelte: se più di una persona decide di andare nella direzione giusta l’effetto delle loro scelte sarà enorme, se quelle persone sono agricoltori, l’effetto delle loro scelte sarà un paesaggio sostenibile e biodiverso. Questo è quel che è successo con il progetto Coltivare Paesaggi Resilienti: un progetto nato dal basso, da un gruppo di agricoltori e dal loro rispetto per la terra.

A consegnare il riconoscimento anche Vanda Bonardo, responsabile Alpi di Legambiente “Il nostro vessillo green premia uno spaccato di territorio dinamico, dal significato ancor più pregnante in questo periodo: realtà che puntano su innovazione, riduzione delle emissioni CO2, condivisione di spazi e idee, meritevoli per la grinta nell’affrontare situazioni non facili e per la volontà di esprimere visioni aperte e ottimistiche – spiega Bonardo –. Purtroppo dobbiamo rilevare che, accanto alle Verdi, anche le Bandiere Nere quest’anno sono in crescita, esempio di inefficienze, trascuratezza e sciatterie nelle scelte politiche, ma anche d’incapacità nel produrre visioni al passo coi tempi.”

In tal senso, Legambiente Lombardia non può che rimarcare la preoccupazione per quanto sta avvenendo sul tema degli alpeggi, per i quali l’associazione non risparmia critiche alla Regione Lombardia, per l’insufficiente vigilanza sulla distribuzione degli incentivi alla propria zootecnia.

Il modello zootecnico intensivo della pianura e dei grandi fondovalle, fortemente assecondato dall’istituzione regionale, ha portato all’occupazione di tutti gli spazi disponibili, fino ad arrivare a ‘sfrattare’ i tradizionali custodi delle terre alte, gli allevatori d’alpeggio. Il meccanismo è quello della partecipazione alle aste pubbliche con cui i Comuni, proprietari delle terre, assegnano i lotti di pascolo: i grandi allevatori, spesso tramite intermediari e forti delle dimensioni delle loro aziende, sono in grado di presentare offerte fuori dalla portata dei piccoli allevatori locali, e quindi portano a casa le superfici e, con esse, i sussidi della PAC, la Politica Agricola Comunitaria: si tratta infatti di contributi proporzionali alle superfici in conduzione. Il problema è che questi grandi allevatori non hanno alcuna motivazione alla buona gestione del pascolo, che di conseguenza si degrada anno dopo anno.

I pascoli montani sono un irripetibile patrimonio ecologico dell’arco alpino e in particolare della montagna lombarda – dice Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia negli ultimi anni l’affidamento delle malghe comunali ha visto subentrare grandi allevatori della pianura, spinti dall’interesse economico a beneficiare surrettiziamente di contributi della PAC, spesso senza neanche prendersi il disturbo di caricare il bestiame. Vogliamo suonare la sveglia alla Regione, che è anche autorità pagatrice dei sussidi PAC, affinché intervenga con energia, in considerazione delle gravi conseguenze ecologiche e di sicurezza idrogeologica che conseguono all’abbandono dei pascoli”.

La piaga non è solo lombarda, i grandi allevatori della Pianura Padana frequentano le aste di tutta la montagna italiana, dalle Alpi Cozie all’Appennino Abruzzese, come testimoniano le numerose inchieste di polizia giudiziaria che in molti casi hanno messo con le spalle al muro vere e proprie associazioni a delinquere formate da allevatori padani e intermediari. Tuttavia la Lombardia ha un ruolo da protagonista, dal momento che è in questa regione che viene allevato oltre un quarto dell’intero patrimonio bovino nazionale, con densità di capi eccedenti largamente la capacità di carico territoriale, come attestano le procedure europee di infrazione aperte per violazione delle direttive sugli effluenti da allevamento e i fenomeni di inquinamento da liquami che si ripetono con frequenza sconcertante nella Bassa Padana. È dunque dalla Lombardia e dai suoi pascoli che deve muovere un riequilibrio della zootecnia italiana, proprio a partire dalla tutela e valorizzazione della risorsa più preziosa, i pascoli montani.

BANDIERA VERDE A: BIO-DISTRETTO VALLE CAMONICA

MOTIVAZIONE: Per i risultati conseguiti con il progetto “Coltivare Paesaggi Resilienti” nel creare una rete di piccoli produttori dalla forte connotazione comunitaria e recuperare terreni abbandonati di montagna con un’agricoltura che valorizza la fertilità naturale del suolo. L’iniziativa ha posto anche le basi per lo sviluppo di una filiera di prodotti dalle alte qualità nutrizionali e per promuovere il consumo di prossimità.

DESCRIZIONE: La Valle Camonica per la sua conformazione è fra le valli alpine che presentano la maggiore bio-diversità e questo si riflette sia nel suo patrimonio naturale che nei paesaggi agrari che si susseguono alle varie altitudini. Tuttavia i dati ci dicono che da metà degli anni ’50 ad oggi sono stati persi 7.200 ettari di terreni agricoli, per metà a causa del consumo di suolo dovuto all’antropizzazione del fondovalle e per l’altra metà a causa dell’abbandono e dello sviluppo incontrollato del bosco sui terrazzamenti delle aree di gronda, dove i paesi hanno visto un progressivo spopolamento. In questo contesto il Bio-distretto Valle Camonica è una associazione che opera per promuovere sul territorio un’alleanza tra agricoltori, cittadini, associazioni, scuole, operatori turistici, e pubbliche amministrazioni per una gestione il più possibile sostenibile delle risorse locali. Il Bio-distretto, in stretto rapporto con Valcamonica bio, prende a modello il metodo dell’agricoltura biologica fondato su economia di risorse, visione sostenibile, senso della comunità e cooperazione.  Partendo dalla concretezza di lavorare il suolo, da parte di persone che hanno investito la loro vita nell’ agricoltura sostenibile in montagna, è nato il progetto Coltivare Paesaggi Resilienti per il recupero e la valorizzazione delle terre coltivabili, terrazzate e non, a quote tra 500 e 1500 metri in Valle Camonica. Grazie ad una rete di aziende agricole, enti locali ed istituzioni (scuole e musei) è stata costruita una partnership che, partendo da un contributo della Fondazione Cariplo, ha cofinanziato l’iniziativa. Al Bio-distretto Valle Camonica in qualità di capofila si sono aggiunti quali partner Valcamonica bio, la Comunità Montana della Valle Camonica – Parco dell’Adamello, ed il Comune di Cerveno con la sua Casa Museo, mettendo a frutto una proficua collaborazione tra pubblico e privato su una filiera corta che include la trasformazione e la vendita dei prodotti. Sono stati conservati e rimessi a coltura terreni su 11 comuni: Darfo Boario Terme, Ossimo, Borno, Lozio, Losine, Cerveno, Cevo, Saviore dell’Adamello, Malonno, Edolo, Corteno Golgi, con il coinvolgimento di 16 aziende nell’azione di salvaguardia. Risultati tangibili sono stati raggiunti nel recuperare le pratiche dell’agricoltura di rotazione e nel diffondere l’agricoltura biologica ottenendo ottime rese per ettaro, migliorando le competenze degli agricoltori in termini di sviluppo sostenibile e di innovazione, con formazione specialistica sul campo, e l’utilizzo di mezzi meccanici adatti ai terreni difficili (inclusa una piccola mietitrebbiatrice).

Così il sapore dei grani dei vecchi seminativi di media montagna, come la segale ed il grano saraceno, è tornato in tavola con prodotti di elevata qualità nutrizionale in ambiti dove, grazie alle comunità locali, forni e mulini sono tornati a vivere, non solo come elemento etnografico. In aggiunta al lavoro “sul campo” il progetto si adopera per far crescere la percezione della comunità rispetto al rischio di perdere un paesaggio di grande valore culturale e identitario. La promozione del consumo di prossimità è una delle scommesse del progetto e sarà uno dei temi prioritari sui quali sono già previsti degli sviluppi con nuovi interlocutori. La collaborazione con la Comunità Montana ed il Parco dell’Adamello, oltre che sotto il profilo agronomico, ha contribuito a mettere in luce la vocazione della Valle Camonica ad un turismo dolce che coniughi l’inestimabile patrimonio artistico e paesaggistico con i prodotti e la cultura della terra.

BANDIERA NERA A:  REGIONE LOMBARDIA

MOTIVAZIONE: Per lo scarso impegno nell’impedire che gli ingenti sussidi della PAC vengano assegnati agli allevatori della pianura e dei fondovalle a discapito dell’allevamento di montagna  e della qualità dei pascoli alpini

DESCRIZIONE Pascoli milionari, mucche fantasma, montagne d’euro, pascoli d’oro e tanti altri: le forze dell’ordine hanno messo a profitto la loro creatività per dare nomi alle troppe inchieste che vedono protagonisti territori per altri versi ai margini, i pascoli della montagna alpina e appenninica, dalle Alpi Cozie ai Nebrodi. L’ultimo caso è emerso a giugno a Etroubles in Valle d’Aosta, protagonista un allevatore della provincia di Brescia che percepiva aiuti pubblici dalla Regione Lombardia per portare nella Vallèe il proprio bestiame, ma che da quelle parti non si era mai visto. Meno di un anno fa la Guardia di Finanza di Menaggio (CO) portava a termine un’operazione in cui risultavano implicati quasi 100 soggetti, tra titolari di allevamenti della Pianura Padana e intermediari che rastrellavano dai comuni delle montagne di Lario e Valtellina centinaia di ettari di pascoli per poi ‘subaffittarli’ ad aziende agricole che così, ma solo sulla carta, potevano dichiarare superfici di pascolo su cui incassare gli aiuti europei generosamente elargiti dalla PAC, la Politica agricola Comunitaria, senza che nessun bovino avesse mai poggiato il proprio zoccolo su quei terreni. E stiamo parlando di svariati milioni di euro finiti nelle tasche sbagliate, gli stessi euro che avrebbero dovuto servire a sostenere la difficile permanenza degli allevatori di montagna: sono stati proprio loro, gli allevatori locali, a denunciare la truffa, stufi di vedersi umiliare da soggetti disposti a pagare moltissimo alle aste di assegnazione dei pascoli indette dei comuni, ma che su quei terreni nemmeno caricavano il bestiame, causando il degrado del pascolo. L’anno prima analoghe indagini si erano concentrate sulla Val Trompia, nel 2017 un altro grande caso di truffa era emerso in Valle Camonica.

Ma purtroppo le inchieste di polizia mettono in luce solo la punta dell’iceberg di un sistema che, in gran parte della montagna italiana, si configura come una rapina sistematica ai danni dell’allevamento di montagna, una rapina operata da allevatori della pianura e dei fondovalle, e alimentata dall’iniquo sistema di sussidi della PAC: una politica che si regge su due pilastri, da un lato il sostegno allo sviluppo rurale, con misure che dovrebbero favorire gli agricoltori di territori svantaggiati, e dall’altro il ben più pingue pilastro dei sussidi, erogati in base alla superficie aziendale e al numero di capi allevati, che favoriscono le grandi aziende di allevamento intensivo, le stesse che, con il crescere delle loro stalle, spesso finiscono con il trovarsi in difetto di terreni, non tanto per produrre foraggi, che si possono sempre acquistare, ma soprattutto per spandere i liquami di allevamento: più che tanti non se ne possono distribuire sui terreni, senza violare la direttiva europea sull’inquinamento da nitrati, e così per non pagare sanzioni salate occorre dimostrare di avere abbastanza superfici agricole in rapporto al numero di capi. In pianura padana e negli stretti fondovalle alpini non è semplice, a maggior ragione in Lombardia, una delle regioni europee con il livello di allevamento più intensivo. Ed è qui che vengono in aiuto gli espedienti, al limite del legale o anche ben oltre questo limite, per dimostrare disponibilità aziendali di terreni che esistono solo ‘sulla carta’. Ed è così che si scopre che i pascoli di piccoli comuni non solo della montagna lombarda ma anche di quella trentina, piemontese, valdostana o perfino abruzzese e laziale, risultano assegnati a grandi allevatori, spesso delle province di Brescia o di Cremona, o anche delle vicine province venete e piemontesi, che, nella migliore delle ipotesi, ci portano in vacanza qualche manzo dopo lunghi viaggi in camion.

La Regione Lombardia conosce molto bene questo fenomeno, che descrive puntualmente nel suo ottimo documento di linee guida sugli alpeggi (Dgr 1209 del 4 febbraio 2019): “L’ingente quantità di risorse finanziarie messe in campo con la programmazione comunitaria, insieme alla necessità di molte aziende di pianura di disporre di maggiori superfici agricole in relazione al regime di pagamento unico e alla direttiva nitrati, hanno impresso una forte spinta all’acquisizione delle malghe. Ciò sta generando diffusi e preoccupanti fenomeni speculativi a discapito della conservazione e del miglioramento dei pascoli e delle strutture e quindi di una sostenibilità nel lungo periodo di questi complessi e delicati sistemi territoriali.”

Le linee guida lombarde sono ottime, istruttive e ineccepibili. Ma restano linee guida, un documento a cui non è obbligatorio adeguarsi, a maggior ragione per i comuni che non dispongono nemmeno del personale tecnico necessario a interpretarle: tanto che le organizzazioni agricole hanno dovuto tirare la giacca al Prefetto di Sondrio, Salvatore Pasquariello, il quale, con una missiva ai sindaci del 5 marzo 2020, ha usato tutta la moral suasion che poteva mettere in campo, dall’alto delle proprie prerogative istituzionali, pregandoli di ‘voler valutare l’opportunità di recepire le indicazioni regionali’.

La Regione Lombardia ha un ruolo e una dimensione che la pone, oggettivamente, nella condizione di stroncare questa pessima pratica, anche a livello nazionale: è la prima regione italiana per intensità di allevamento, è tra le maggiori percettrici di sussidi dalla PAC, accoglie nel suo territorio di pianura le più grandi aziende zootecniche del Paese, ha una ottima reputazione da difendere nel settore della trasformazione lattiero-casearia, un notevole paniere di prodotti tipici d’alpeggio. E oltre 220.000 ettari di territorio classificato come pascolo montano. Al di là del molto apprezzabile sforzo di collaborazione istituzionale dimostrato dal Prefetto di Sondrio, e degli adempimenti minimi obbligatori attuati dall’organismo regionale che si occupa dei pagamenti PAC, da una regione con simili connotati è lecito aspettarsi un impegno molto maggiore nella regolamentazione e nei controlli rivolti in primo luogo alle aziende zootecniche che beneficiano dei generosi sussidi PAC, insieme ad un aiuto ai comuni proprietari di pascoli montani, affinché vengano messi nella condizione di tutelarsi da queste spregevoli operazioni speculative