Apre al Vittoriale la mostra Dante e d’Annunzio
Organizzata in collaborazione con l’Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna, la mostra racconta, con oggetti unici e straordinari, episodi del lungo e complesso rapporto tra il Vate e il Sommo Poeta. Si tratta di uno dei numerosi eventi ideati per celebrare il primo centenario del Vittoriale (1921), che ricorre proprio nell’anno del settimo centenario della morte di Dante (1321). La cura è di Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, e di Benedetto Gugliotta, responsabile dell’Ufficio tutela e valorizzazione della Biblioteca Classense.
La biblioteca ravennate custodisce le memorie dantesche della città in cui Dante trovò rifugio e serenità nell’ultima parte della sua vita e nella quale morì nel 1321. 700 anni dalla morte del Sommo Poeta e 100 anni per il Vittoriale: 1321 – 1921, due date importanti che uniscono due figure cardine per la storia e la cultura italiane. Ma il 1921, anno del sesto centenario dantesco, fu anche l’anno in cui Gabriele d’Annunzio, deluso per la funesta conclusione dell’impresa di Fiume e in rotta con l’Italia governativa e ufficiale, orchestrò dalla villa di Cargnacco sul Garda il suo personale omaggio a Dante. Invitato dal sindaco di Ravenna come ospite d’onore, il Vate si negò all’ultimo momento ma alla città bizantina inviò tre sacchi colmi d’alloro su altrettanti aerei pilotati da aviatori della Squadra del Carnaro: uno di essi lo aveva accompagnato nel celebre Volo su Vienna del 1918. Gli umili sacchi di juta furono decorati da Adolfo De Carolis con le stelle dell’Orsa, ghirlande e soprattutto con il motto “Inclusa est flamma”, “la fiamma è all’interno”, dettato da d’Annunzio. I sacchi trasportavano dunque, oltre all’alloro segno di gloria e di immortalità, anche una fiamma simbolica destinata ad alimentare quella che ardeva, allora come oggi, nella tomba di Dante. Il Vate istituiva in questo modo un ardito e affascinante parallelo tra la fiamma ravennate e quella del tempio di Apollo a Delfi, cuore della nazione greca in epoca classica. Il sepolcro di Dante venne così elevato a vero e proprio “altare della Patria”, capitale ideale dell’Italia uscita vincitrice, ma con le ossa rotte, dalla Grande Guerra.
I sacchi, insieme a molti altri cimeli, fanno oggi parte delle collezioni dantesche del Comune di Ravenna, fin dall’origine gestiti dalla Biblioteca Classense. Tra le altre opere che giungeranno dalla città bizantina, un bozzetto di Guido Cadorin per la decorazione a tema dantesco della Chiesa di San Francesco (1921), due albi manoscritti contenenti le firme dei visitatori della tomba di Dante e della Classense – e tra essi quelle di d’Annunzio e di Eleonora Duse – e un’edizione della Francesca da Rimini dedicata e donata alla città nel 1902. Il Vittoriale arricchirà l’esposizione con la silografia del Dantes Adriacus commissionato dal poeta a Adolfo De Carolis, il busto dell’Alighieri realizzato dallo scultore Onorio Ruotolo e dono degli italiani di New York, i materiali documentali e a stampa provenienti dagli Archivi e dalle Biblioteche del Vittoriale fra cui il manoscritto Per la dedicazione dell’antica Loggia fiorentina del grano al novo culto di Dante, le stesure e gli appunti per la Francesca da Rimini; e ancora la monumentale edizione della Commedia illustrata da Amos Nattini e quella non meno preziosa stampata da Leo S. Olschki nel 1911, in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità d’Italia.
«D’Annunzio rivela il fortissimo legame e il senso di comunanza che sentiva di avere con l’Alighieri in un appunto, anch’esso in mostra, dove – spiega il presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri – il poeta di Alcyone sostiene che La poesia italiana comincia con 200 versi di Dante e – dopo un lungo intervallo – continua in me. Gabriele d’Annunzio considerava Dante un “Parente”, come Michelangelo, per affinità e grandezza artistica. Era un suo modo per onorare il Sommo Poeta, al quale volle inviare, per il sesto centenario della morte, tre sacchi di alloro dal Vittoriale. Sono particolarmente felice per il ritorno temporaneo nella casa di d’Annunzio di quei sacchi, che onoreremo con alloro appena raccolto nel nostro parco. La collaborazione con la Biblioteca Classense di Ravenna ci permetterà di organizzare una splendida mostra, dal significato altamente simbolico, e per questo ringrazio gli amici ravennati».
«Ravenna si configura già tra fine Settecento e primi dell’Ottocento come capitale del dantismo, cioè di quel vero e proprio culto laico tributato al Poeta», afferma Benedetto Gugliotta, co-curatore della mostra. «Numerosissima è la schiera di persone che ha voluto lasciar traccia del suo passaggio presso il sepolcro dantesco firmando gli albi di visita allora collocati entro la tomba, e tra essi anche d’Annunzio nel 1901 e nel 1902. Ma fu nel 1921 che, pur assente alle celebrazioni per il Secentenario della morte di Dante, alle quali era stato invitato come ospite d’onore, il Vate si produsse in una “performance” originale e memorabile. Decisivo, allora, fu il contributo di Adolfo De Carolis: i sacchi d’alloro, in questo senso, sono il frutto tangibile dell’incontro tra due geni».
«A Ravenna – dichiara il sindaco Michele de Pascale – il Sommo Poeta trovò l’ispirazione per terminare il Paradiso, un ambiente colto e una speciale accoglienza, grazie anche a Guido Novello da Polenta, signore della città. Anche Gabriele d’Annunzio fu ispirato dalle grandi memorie cittadine e dedicò celebri versi a Ravenna, a Teoderico re degli Ostrogoti e al guerriero ravennate Guidarello Guidarelli, della cui celebre statua volle con sé un calco del volto, tutt’ora conservato al Vittoriale. È stato per noi un piacere e un onore collaborare alla realizzazione di questa mostra, un’ulteriore e preziosa opportunità di valorizzazione della storia e del patrimonio artistico – culturale di Ravenna, attraverso il legame tra Dante e d’Annunzio, nel settimo centenario dantesco che coincide con il primo centenario del Vittoriale».
La mostra sarà visitabile fino al 31 dicembre prossimo.