Ucraina, Coldiretti Brescia: sos cibo a mucche e maiali per boom costi e crisi delle forniture alimentari dall’estero

La guerra in Ucraina taglia le razioni di cibo a mucche e maiali negli allevamenti italiani, che si trovano a fronteggiare la peggiore crisi alimentare per gli animali dalla fine del secondo conflitto mondiale, a causa dell’esplosione dei costi dei mangimi e del blocco alle esportazioni di mais dall’Ucraina e anche dall’Ungheria. Una decisione unilaterale di Budapest che compromette il mercato unico europeo e mina le fondamenta stesse dell’Unione Europea. È l’allarme lanciato da Coldiretti in riferimento alla drammatica situazione nelle fattorie italiane, costrette a lavorare in perdita per riuscire a nutrire i propri animali per effetto della carenza di materie prime.

 

“Siamo di fronte a una nuova fase della crisi, dopo l’impennata dei prezzi, arriva rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame” avverte il presidente di Coldiretti Brescia Valter Giacomelli, nel precisare che “da salvare ci sono oltre 500.000 bovini, 1.300.000 suini e  74.000 scrofe, senza dimenticare l’importante settore avicolo con polli e tacchini insieme all’allevamento di pecore e di capre”.

 

Sul fronte bresciano, il momento è drammatico. “La situazione è veramente complicata e piena di incertezze – racconta Angelo Bettoni giovane allevatore di vacche di Torbole Casaglia (BS) – sono stato costretto a rivedere la composizione del pasto per i miei animali: ho diminuito la quantità di farina di mais, componente che acquisto, e ho aumentato la percentuale di materie prime che produco in azienda. Così facendo, per ora, riesco a mantenere la stessa resa di latte, perché produrre meno oggi per noi vorrebbe dire chiudere. I mangimifici non danno certezze né sul prezzo, che continua a salire, né sulle consegne: se si dovessero interrompere i conferimenti, sarà un grosso problema. La situazione deve rientrare al più presto”.

 

Con la decisione dell’Ungheria di ostacolare le esportazioni nazionali di cereali, soia e girasole – continua Coldiretti – è a rischio un allevamento tricolore su quattro. Le aziende agricole dipendono infatti, per l’alimentazione degli animali, dal mais importato dal Paese di Orban e dall’Ucraina, che hanno di fatto bloccato le spedizioni e rappresentano i primi due fornitori dell’Italia del prezioso e indispensabile cereale. Le aziende agricole sono al collasso – precisa Coldiretti Brescia – oltre a rimodulare la razione alimentare, nei settori zootecnici si pensa addirittura ad una riduzione drastica di capi allevati. Si prevede inoltre l’inizio della campagna di semina del mais con cifre folli a partire dal costo di concimi e gasolio.

 

“Abbiamo rimodulato la composizione della razione – interviene Claudio Cestana suinicoltore di Manerbio (BS), vice presidente di Coldiretti Brescia e coordinatore della consulta suinicola provinciale – riducendo le quantità delle materie prime che acquistiamo e rafforzando invece la parte di nutrimenti meno costosi, autoprodotti o più facilmente reperibili. Così cerchiamo di salvaguardare per ora la resa ed evitiamo che i nostri maiali vadano incontro a situazioni di stress a causa di un cambiamento nelle loro abitudini alimentari, sia a livello quantitativo sia di tempistiche. Certamente non possiamo pensare di andare avanti molto così”.

 

L’ulteriore delle quotazioni dei cereali, ai massimi da un decennio, sta mettendo in ginocchio gli allevatori bresciani, che stanno affrontando aumenti vertiginosi dei costi a fronte di compensi fermi su valori insostenibili. Ad esempio – continua Coldiretti – il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse, ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo riconosciuto a una larga fascia di allevatori. “La situazione è drammatica – racconta Giuseppe Ruggeri produttore di latte e titolare dell’azienda agricola Malgherosse a Verolavecchia (BS)– ho dovuto ridurre la razione alimentare dei miei animali e non nego che potrei trovarmi costretto anche a vendere i capi. Questa però non può essere la soluzione, vogliamo tenere aperte le aziende e per sopravvivere è necessario sedersi attorno a un tavolo e trovare accordi con tutti gli attori della filiera, per arrivare a riconoscere il giusto prezzo alla stalla”.

 

In gioco c’è il futuro dell’agricoltura italiana – continua Coldiretti – un sistema che ogni giorno lavora per garantire un mercato che, tra latte, carne e uova, genera un giro d’affari di circa 40 miliardi di euro ed è ai primi posti nel mondo per qualità e sostenibilità. “La stabilità della rete zootecnica italiana – – conclude il presidente Giacomelli – ha un’importanza che non riguarda solo l’economia nazionale, ha anche una grande rilevanza sociale e ambientale. Quando una stalla chiude, si perde un intero sistema fatto di animali, di patrimonio zootecnico costruito con decenni di lavoro, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e, soprattutto, di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori”.