A Brescia, dopo la pandemia, lo smartworking interesserà il 36,1% delle imprese

Secondo le indicazioni delle imprese bresciane, lo smartworking 2.0 (quello vigente una volta terminata l’emergenza) interesserà il 36,1% delle aziende e il 7,3% dei lavoratori: numeri inferiori alla media dei principali territori italiani analoghi, anche a causa delle caratteristiche strettamente manifatturiere della nostra provincia.

A evidenziarlo è un approfondimento sul tema – curato dal Centro Studi Confindustria Brescia – relativo all’HR DASHBOARD 2022, rapporto che riunisce i risultati di due indagini, condotte nel primo semestre dell’anno su un panel di aziende associate sui temi che riguardano la gestione delle risorse umane.

Il report – presentato stamattina in un evento online – è frutto della collaborazione tra Confindustria Brescia e altre 14 delle principali Associazioni territoriali del Sistema Confindustria, espressione di 21 province italiane che insieme producono un valore aggiunto di 670 miliardi di euro, pari al 42% della ricchezza generata in Italia.

All’iniziativa, che ha visto la partecipazione complessiva di oltre 1.800 imprese, con più di 300 mila dipendenti, hanno collaborato 215 realtà associate a Confindustria Brescia, con oltre 41 mila addetti.

“L’HR Dashboard si conferma ancora una volta un’importantissima iniziativa del Sistema Confindustria, capace di coinvolgere numerose e importanti territoriali in un lavoro di squadra – commenta Roberto Zini, Vice presidente di Confindustria Brescia con delega a Relazioni Industriali e Welfare –. Vorrei sottolineare, in particolare, la capacità dell’indagine di focalizzare la sua attenzione sull’analisi della capacità di attrazione delle aziende, sulle motivazioni del personale e sulla capacità delle imprese di trattenere talenti: tre aspetti sempre più centrali, anche alla luce dei cambiamenti che stanno interessando il mondo del lavoro. La competitività delle nostre aziende si misurerà sempre più sulla capacità di valorizzare e trattenere le risorse umane. Tra i risultati emersi, mi piace infine concentrarmi sugli aspetti da migliorare: uno, soprattutto, riguarda la conversione del premio di risultato in welfare, che presente ancora ampie possibilità di crescita.”

Il documento è strutturato in quattro sezioni (“La gestione del personale”, “L’organizzazione del lavoro””, “Le strategie di HR management”, “Indicatori di feedback organizzativo”) e offre informazioni per settore e classe dimensionale delle imprese, a prescindere dalla loro localizzazione geografica. Sul tema degli orari di lavoro e, in particolare, per il fenomeno delle assenze dal lavoro, la specificità territoriale risulta rilevante: pertanto, il rapporto riporta i risultati riferiti allo specifico territorio considerato.

LA GESTIONE DEL PERSONALE

Il 42,1% delle imprese dichiara di avere sottoscritto un contratto aziendale con RSU/RSA o OO.SS. La diffusione della contrattazione di secondo livello è maggiore nell’industria (48,0%) rispetto al settore dei servizi (24,7%) e aumenta al crescere delle dimensioni, raggiungendo il 73,2% in quelle con più di 100 dipendenti. Premi di risultato collettivi (85,3%) e Welfare aziendale (61,9%) sono le materie maggiormente regolate dal contratto aziendale. In tale contesto, la ricerca ha evidenziato come le clausole di conversione dei premi di risultato in welfare interessino il 47,3% delle imprese intervistate. L’importo convertito è mediamente pari al 45,5% del premio, con un’elevata eterogeneità per settore e classe dimensionale, mentre la quota di lavoratori che ha convertito il premio in welfare si attesta al 33,9%.

L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

La ricerca si è focalizzata sullo smart working e sulla sua declinazione “2.0”, ovvero quella che sarà vigente una volta terminata l’emergenza. Oltre ai dati bresciani, citati in apertura, tale fenomeno, secondo le indicazioni degli HR manager, riguarderà nei territori analizzati il 43,9% delle imprese (contro il 16,6% prima della pandemia) e il 13,4% dei lavoratori. La modalità più diffusa di smart working 2.0 fa riferimento ad accordi individuali, con regolamento o policy (52,2%). Per quanto riguarda i cambiamenti organizzativi legati all’introduzione dello smart working 2.0, emergono per ora politiche aziendali abbastanza conservative. Il 55,9% delle aziende, infatti, non prevede alcun cambiamento di tipo organizzativo a supporto.

LE STRATEGIE DI HR MANAGEMENT

Nell’attuale mercato del lavoro risulta evidente come la sola leva economica non sia più sufficiente per garantirsi i migliori collaboratori possibili e trattenerli. Vi sono altri strumenti strategici che le imprese possono e devono sfruttare per rimanere competitive ed evitare la perdita di talenti e conseguentemente di competitività. L’indagine ha raccolto informazioni sulle priorità delle aziende nella gestione delle risorse umane nel 2022 e sulle leve utilizzate per attrarre, motivare e trattenere i collaboratori. Nell’ambito dell’attraction, gli strumenti più efficaci sono quelli monetari e di welfare. Il pacchetto di compensation vincente include stipendi più elevati, elementi di welfare specifici e prospettive di carriera. Per quanto riguarda l’engagement, gli strumenti più efficaci sono quelli relativi al welfare. A tal fine, importante risulta anche l’ascolto e la comunicazione. Sul versante della retention, le opinioni degli HR manager intervistati hanno ribadito l’importanza di offrire una prospettiva di sviluppo della carriera. È importante rivedere il modello organizzativo, rendere chiara la valutazione delle performance e modellare percorsi di leadership.

INDICATORI DI FEEDBACK ORGANIZZATIVO

La pubblicazione si è focalizzata sul turnover e sui tassi di assenza rilevati in provincia di Brescia. Per quanto riguarda il tasso di turnover – indicatore che misura l’intensità con cui avviene il processo di sostituzione della forza lavoro all’interno di un’azienda nel corso dell’anno –, esso si è attestato nei territori considerati, nel 2021, al 23,9%, in crescita di 5,6 punti percentuali rispetto al 18,3% rilevato nel 2020. Il flusso di uscita dovuto alle dimissioni dei lavoratori (turnover volontario) è stato pari al 5,1%, con punte dell’8,6% tra le realtà di piccole dimensioni.  Nel 2021 ogni lavoratore bresciano si è invece assentato mediamente per 131 ore, un numero che sottende una certa eterogeneità per genere e inquadramento del lavoratore. La segmentazione per causale delle ore di assenza per l’addetto medio evidenzia la netta predominanza delle malattie non professionali (ben 70 ore delle 131 complessive). Il tasso di assenza rilevato in provincia è pari al 7,8%, inteso come rapporto fra le ore perdute e le ore lavorabili. Tale valore tende a crescere al diminuire della qualifica (è pari al 2,1% per i quadri, al 5,2% per gli impiegati e al 10,1% per gli operai). Il tasso di assenza è inoltre funzione del genere dell’addetto: nelle femmine, per le quali si registrano più ore perdute, si attesta al 9,0%, a fronte del 7,5% che caratterizza l’occupazione maschile; le donne operaie esprimono il più alto valore di tale indice, pari al 14,2% delle ore lavorabili, mentre i quadri maschi quello più basso (2,1%).