L’Università Cattolica investe sulla cooperazione internazionale

«La cooperazione internazionale è uno dei tratti identitari della nostra storia universitaria». Lo ha detto il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Elena Beccali aprendo il convegno internazionale di studi “Ripensare la cooperazione internazionale” ospitato il 10 e l’11 ottobre nella sede di Brescia dell’Università Cattolica, con 26 relatori e diverse tavole rotonde. Un’attenzione che si è tradotta nei molti progetti di ricerca che collocano la cooperazione internazionale al centro delle loro indagini, nelle iniziative concrete promosse nelle aree più povere del pianeta e nei corsi curricolari dedicati alle teorie e ai modelli della cooperazione.

 

«Da sempre – e in futuro con ulteriore convinzione – l’Ateneo assegna particolare attenzione a tutto ciò che si muove attorno alla cooperazione internazionale», ha affermato il rettore, che ha evidenziato l’approccio «realista e in un certo senso “ottimista”», perché «affrontiamo questi temi con la consapevolezza delle potenzialità e dei limiti che a essa sono ricondotti, richiamandoci a quella idea di sviluppo economico che trova le sue origini nel mondo cattolico, se non proprio nel nostro Ateneo».

 

Per monsignor Angelo Vincenzo Zani, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, «alle nuove sfide si deve rispondere con una progettualità basata su una solida visione antropologica che sappia immettere nel tessuto sociale e nelle relazioni tra Paesi i pilastri fondamentali quali: l’etica della vita, la libertà responsabile, il bene umano e globale, la solidarietà a tutti i livelli, la fraternità universale. In tale senso, la cooperazione internazionale è uno degli strumenti più efficaci, anche se non esclusivo, per raggiungere l’unità della comunità umana e il bene comune».

 

Il rettore Beccalli suggerisce a questo proposito l’importanza di riprendere l’esperienza dell’Eni di Enrico Mattei e di Marcello Boldrini, professore della Cattolica, «per aver attribuito centralità alla formazione della classe dirigente locale, a indicare lo stretto legame tra educazione e sviluppo economico-sociale delle aree più povere». A partire da quella storia «occorre pensare a programmi di lungo periodo con l’idea del reciproco interesse tra l’Europa e le aree più povere del pianeta», secondo una logica centrata sul «binomio tra crescita ed educazione, accompagnato dalla solidarietà, che è la chiave per lo sviluppo integrale e solidale, anche del Global South». Una prospettiva che per molti aspetti «riprende l’esperienza dell’Eni e della quale si comprende la rilevanza anche oggi, nella fase di elaborazione del Piano Mattei per l’Africa». E che sta portando l’Università a coordinare in un piano le proprie attività di cooperazione con l’Africa.

 

Un’attenzione che è emersa anche dalle parole di Patrizio Bianchi, portavoce della Rete italiana delle Cattedre Unesco. «La nuova cooperazione allo sviluppo deve essere fondata su principi di parità. Anche la Presidente dell’Unione Africana, l’etiope Zewde, aprendo il Forum internazionale Unesco sul futuro dell’Africa tenutosi alcuni giorni fa ad Addis Abeba, ha detto che i Paesi africani coopereranno solo con Paesi pronti ad avere rapporti educativi, di ricerca, di sviluppo alla pari. Ed è questa la prospettiva in cui opera, da tempo, la rete delle Cattedre Unesco italiane che coordino. Un’impostazione che rappresenta la punta più avanzata della nuova cooperazione internazionale».

 

Un concetto enfatizzato anche da Pius Peter Mgeni, rettore della Ruha Catholic Univertsity di Iringa (Tanzania), con gli occhi di chi guarda la cooperazione internazionale dal Sud del mondo: «Quando i Paesi ricchi lavorano insieme ai Paesi poveri e non per i Paesi poveri danno valore aggiunto. Nel passato c’è stato un modello top-down, con l’imposizione di problemi e soluzioni dall’alto. C’è bisogno di cambiare paradigma, perché anche i poveri possono definire i problemi e proporre soluzioni. L’approccio bottom-up assicura la sostenibilità dei progetti».

 

Un cambio di paradigma invocato anche dal preside della facoltà di Scienze della formazione e titolare della Cattedra Unesco dell’Università Cattolica Domenico Simeone che, rimarcando che il futuro dell’umanità è strettamente legato a quello dell’Africa, ha concluso che «la ricerca rimane appannaggio dei Paesi del Nord del mondo. Per questo occorre attingere a forme di conoscenza complementari a quelle solite, con un approccio interculturale e internazionale».

 

Il rettore ha chiuso il suo intervento facendo riferimento alla sede di Brescia: «Il fatto che il convegno si svolga in questo campus non è casuale, perché qui è ospitata la Cattedra Unesco in Education for Human Development and Solidarity Among Peoples, istituita il 6 aprile 2018. Inoltre, non bisogna dimenticare che la vocazione di Brescia rispetto ai temi dell’educazione e della solidarietà è riconosciuta e apprezzata a livello nazionale. Proprio in questi giorni è stata annunciata la seconda edizione del Festival internazionale dell’educazione che si svolgerà nell’ottobre 2025 e avrà come tema “La città che apprende. Apprendere nella città”. Ecco perché sono certa che – una volta di più – la città e il campus bresciano dell’Università Cattolica sapranno porsi come crocevia per avviare processi generativi utili per l’intera società».